Cristina, attirata in Italia con false promesse, è stata costretta a prostituirsi, con minacce di morte; è fuggita, si è sposata con un connazionale e ora ha due figli maschi. Hanna è ucraina, anche lei è stata costretta a prostituirsi, solo che a forza di botte ha perso una delle due gemelle che aveva in grembo; ha denunciato il suo protettore, lo ha fatto scappare dall'Italia, e ora riesce a mantenere la sua bimba di due anni con un lavoro regolare. Myra, un'insegnante albanese, è arrivata in Italia su un gommone, incinta: lei e suo marito volevano dare un futuro migliore al loro nascituro. Ora è lei da sola a crescerlo, facendo pulizie a domicilio, perché suo marito è rimasto ucciso durante un inseguimento appena approdati, di notte, zuppi, con il freddo, la paura, la rabbia. Oltre al loro passato burrascoso, queste tre donne hanno una cosa in comune: hanno trovato la salvezza a Pescara. Dal 1996 è infatti attiva nel capoluogo adriatico la Adi (Associazione donne immigrate), fondata dalla cilena Quezada Leòn e oggi presieduta dalla marocchina Latifa Belkacem, da 16 anni in Abruzzo: volontarie immigrate ed integrate nel territorio che hanno aiutato fino ad oggi oltre trecento donne provenienti da fuori Italia, specialmente dall'Africa e dall'Europa dell'Est, indirizzandole verso Questura, Comuni, Asl e scuole per muovere i primi passi nel Paese in cui vogliono vivere. «La maggior p arte delle volte salvando le donne si salvano le loro famiglie – spiega Latifa Belkcem – Ne abbiamo aiutate molte ad affrancarsi da casi di prostituzione, altre hanno avuto bisogno di fuggire da mariti-padroni o da situazioni di violenza.